Il Natale della Rinuncia

Il Natale monopolizza il dibattito pubblico: sicuramente ci sarà l’ennesimo decreto in arrivo. Le domande sono sempre le stesse. In quanti si potrà stare a tavola? Ci si potrà spostare? Sarà lecito partire? Riunire pezzi di famiglie disperse? Andare in montagna senza sciare? Raggiungere le seconde case? Un amore lontano? Un genitore solo? Aprire un ristorante?   Sono le domande che rimbalzano in queste ore, tutte cruciali a loro modo. Sappiamo che nascondono problemi reali: la paura di ridurre la festa a un collage di solitudini; la preoccupazione per attività economiche congelate mentre si assottigliano i risparmi e magari aumentano i debiti. Pensieri fondati per la sopravvivenza morale, materiale, spirituale.   Questo è il Natale della rinuncia.                                                                                                                                                 %            
Nessuno riflette  sulla rinuncia in queste ore concitate fatte di masse alle prese con shopping degli ultimi giorni puntualmente incuranti di assembramenti, mascherine e distanziamento sociale. La rinuncia è un valore perché è un esempio di solidarietà verso i più deboli, verso i nostri genitori e i nostri nonni .   Nel Natale della rimozione sembra che nessuno voglia guardare chi, attaccato ad un respiratore combatte per vedere la fine dell’Avvento e  chi aspetta a casa la telefonata di uno sconosciuto per sapere come va; o delle persone rimaste attorno ai circa 60.000 che tra noi se ne sono andati soli e appesi a un ultimo respiro in mani esperte e pietose ma sconosciute oppure a casa loro nell’angoscia di una famiglia in attesa di una diagnosi e di un soccorso che non sono arrivati in tempo.  Senza contare gli altri, che sfuggono ai numeri già enormi citati, che se ne sono andati per ragioni diverse dalla Covid-19 ma non hanno avuto l’assistenza necessaria impedita dal pericolo del contagio. Facce estreme opposte della stessa solitudine, superata forse soltanto da chi se n’è andato senza intorno nessuno.   Ma le 60mila persone non possono essere ridotte a 60 mila fatti privati moltiplicati per il numero dei loro affetti, per non dire delle centinaia di medici, infermieri e operatori sanitari che hanno perso la vita per assistere gli altri. Sono parte di noi e dobbiamo avere il dovere di guardare e riflettere. Riflettere sul sacrificio di tutti quelli che non ci sono più ,o su quelli che potranno alzare un telefono o accendere una telecamera, per far sì che grazie alla tecnologia almeno possono dirsi: «siamo lontani, ma almeno stiamo tutti bene» E’ vero non sarà come essere alla stessa tavola ma almeno sapere di non poterla riunire più, come sta accadendo a troppi.   Un dolore così grande, così comune, ha bisogno di rispetto e  di condivisione non di rimozione collettiva come sta accadendo. Se il Natale ha conservato il suo senso, se crediamo che ci sia un Dio che si fa uomo per salvarci, allora dobbiamo avere la consapevolezza e la maturità che questo deve essere, in questo triste tempo Covid, il Natale della Rinuncia.                                          
Orazio D’Antoni

Nel rispetto del provvedimento emanato, in data 8 maggio 2014, dal garante per la protezione dei dati personali, si avvisano i lettori che questo sito si serve dei cookie per fornire servizi e per effettuare analisi statistiche completamente anonime. Pertanto proseguendo con la navigazione si presta il consenso all' uso dei cookie. Per un maggiore approfondimento clicca qui.

Nel rispetto del provvedimento emanato, in data 8 maggio 2014, dal garante per la protezione dei dati personali, si avvisano i lettori che questo sito si serve dei cookie per fornire servizi e per effettuare analisi statistiche completamente anonime. Pertanto proseguendo con la navigazione si presta il consenso all' uso dei cookie.

Chiudi