Informazione sanitaria

Nuove speranze nella lotta all’Alzheimer

L’azienda statunitense Biogen chiederà alla FDA (organo regolatorio Usa sui farmaci) l’autorizzazione per il farmaco sperimentale ‘Aducanumab’, un anticorpo specifico contro la proteina tossica ‘beta-amiloide”, da sempre principale indiziata nella demenza di Alzheimer. È l’annuncio dato dalla stessa azienda, la quale inizialmente aveva gelato le tante aspettative riposte su questa molecola chiudendo anticipatamente il trial clinico in corso a causa di risultati deludenti. Ma, dopo una nuova analisi di un ampio set di dati dello stesso trial, l’azienda ci ha ripensato e sostiene che ad un dosaggio maggiore l’anticorpo effettivamente funziona, rallentando la progressione del declino mentale cui l’Alzheimer inesorabilmente condanna i pazienti. “Siamo fiduciosi nella prospettiva di offrire ai pazienti la prima terapia che riduce il declino clinico dell’Alzheimer”, ha dichiarato l’amministratore delegato della Biogen Michel Vounatsos. L’azienda presenterà a breve alla FDA i documenti per chiedere l’autorizzazione all’uso del farmaco, per la quale ci vorranno 1-2 anni; e potrebbe affacciarsi anche verso le autorità regolatorie europee. “Questo annuncio è importante perché Aducanumab, se approvato dalla FDA, sarà il primo farmaco capace di curare l’Alzheimer”, sostiene in un commento all’ANSA Michele Vendruscolo, del dipartimento di chimica dell’Università di Cambridge ed esperto del settore. “Altrettanto importante è il fatto che Aducanumab dimostra che intervenire sull’aggregazione del peptide beta-amiloide è un approccio terapeutico efficace – continua l’esperto. Questa dimostrazione aprirà la strada per lo sviluppo di altri composti ancora più potenti per l’Alzheimer e per altre malattie neurodegenerative, inclusi Parkinson e sclerosi laterale amiotrofica”. “È interessante notare che l’abbandono iniziale di aducanumab era stato causato da un’analisi inaccurata dei risultati dei test clinici – conclude Vendruscolo – ma, considerando meglio i numerosi fattori che hanno contributo a tali risultati, i ricercatori di Biogen sono riusciti a rivelare l’efficacia terapeutica del farmaco sperimentale”

Nanoparticella contenente glutine fermerebbe la Celiachia

Una nanoparticella biodegradabile contenente il ‘glutine’ sembra in grado di ‘fermare’ la celiachia: iniettata ai pazienti, ha permesso loro di mangiare glutine per 2 settimane senza risentirne. È il risultato ottenuto in una sperimentazione clinica di fase II condotta presso la Northwestern Medicine che sarà resa nota in occasione della conferenza “European Gastroenterology Week” in corso a Barcellona. Attraverso il ‘nanodispositivo’ il paziente impara a riconoscere il glutine come una sostanza innocua e in questo modo evita reazioni autoimmuni.

La celiachia è una malattia autoimmune, in cui, cioè, il sistema immunitario riconosce come ‘nemico’ la principale componente proteica del grano, il glutine, e produce una reazione autoimmune che danneggia le pareti intestinali. Ad oggi chi soffre di celiachia può tenere a bada la malattia solamente evitando di ingerire cibi contenenti glutine. Ma gli esperti Usa hanno usato la nanoparticella come un ‘cavallo di troia’ per insegnare al sistema immunitario dei pazienti a non reagire al glutine (in altri termini la nanoparticella induce nel paziente ‘tolleranza immunologica’ nei confronti del glutine). La nanoparticella contenente glutine, infatti, iniettata nel sangue viene subito captata da cellule immunitarie (i macrofagi) che letteralmente ingoiano il suo ‘cargo’ e avvertono altre cellule immunitarie della sua innocuità, cosicché si prevengono reazioni avverse al glutine.

Lo studio clinico ha fin qui dato risultati positivi: i pazienti trattati hanno consumato glutine per 14 giorni senza risentirne. Il trattamento praticamente elimina ogni reazione infiammatoria a carico delle pareti intestinali cui i pazienti celiaci vanno inesorabilmente incontro quando consumano glutine. Il nanodispositivo è stato già posto al vaglio della FDA statunitense e sarà ora testato anche per altre malattie autoimmuni e per allergie alimentari come quella alle arachidi.

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