Informazione sanitaria

Corretti stili di vita riducono il rischio di tumori urologici

Un’ecografia l’anno può essere una semplice analisi per cercare di controllare i calcoli renali e, tra l’altro, per fare prevenzione contro il cancro al rene. A dirlo è il professor Pierfrancesco Bassi, urologo, direttore dell’unità clinica di urologia e nefrologia del Policlinico Gemelli di Roma. “La colica renale è il primo segno rilevatore della presenza di un calcolo – spiega Bassi – Oggi si può risalire con facilità alle cause che lo hanno generato e identificare i fattori di rischio che portano all’insorgenza della calcolosi”. “Se in famiglia qualcuno ha avuto i calcoli”, prosegue l’urologo, “bisogna fare un’ecografia una volta all’anno”. L’uso di questa diagnostica, tra l’altro, ha fatto raggiungere successi nella lotta contro il cancro, visto che ha “portato a scoprire i tumori del rene quando sono piccoli e curabili”. Un corretto stile di vita, e smettere di fumare, sono inoltre fattori per prevenire anche il tumore alla vescica. Oggi in urologia ci sono molti strumenti che permettono di fare diagnosi e prevenzione: oltre all’analisi dei valori del Psa (un enzima prodotto dalla prostata), ci sono anche l’ecografia transrettale e la risonanza magnetica prostatica multiparametrica. “Il Psa è ciò che guida la diagnosi precoce”, spiega, sottolineando invece come la risonanza prostatica oggi veda gli italiani “leader del settore” a livello internazionale.
Sempre in campo urologico, prosegue Bassi, è importante controllare, in età adolescenziale, che i testicoli non siano stati colpiti da varicocele. “Ha gravi implicazioni per la fertilità, per questo è importante che i più giovani si controllino: quando un testicolo di sinistra è più basso e c’è gonfiore, è necessaria una visita urologica – dice lo specialista – Se scoperto in età giovanile il varicocele è del tutto recuperabile con un intervento chirurgico correttivo.
Qualora si cronicizzasse, invece, è la causa principale di sterilità maschile”. 

                     Dieta mediterranea e invecchiamento sano, il segreto nell’intestino

Seguire la dieta mediterranea per un anno aumenta i tipi di batteri intestinali legati ad un invecchiamento “sano”, riducendo al contempo quelli associati all’infiammazione dannosa nelle persone anziane. Lo indica uno studio condotto in cinque paesi, compresa l’Italia, pubblicato online sulla rivista Gut. I ricercatori hanno analizzato il microbioma intestinale di 612 persone dai 65 ai 79 anni, prima e dopo 12 mesi di dieta normale (per 289 di loro) o mediterranea (per 323) detta Nu-Age, ricca di frutta, verdura, noci, legumi, olive, olio e pesce e povera di carne rossa e grassi saturi e appositamente studiata per le persone anziane. I partecipanti vivevano in cinque diversi paesi: Francia, Italia, Paesi Bassi, Polonia e Regno Unito. Dall’analisi è emerso che attenersi alla dieta mediterranea per 12 mesi è risultato associato a cambiamenti benefici: un aumento dei tipi di batteri precedentemente associati a diversi indicatori di ridotta fragilità, come la velocità di deambulazione e la forza di presa della mano, e il miglioramento delle funzioni cerebrali, come la memoria, oltre che una ridotta produzione di sostanze chimiche infiammatorie potenzialmente dannose. Analisi più dettagliate hanno rivelato che i cambiamenti del microbioma erano associati ad un aumento dei batteri noti per la produzione di acidi grassi a catena corta benefici e a una diminuzione di quelli coinvolti nella produzione di acidi biliari particolari, la cui sovrapproduzione è legata ad un aumentato rischio di cancro intestinale, resistenza all’insulina, fegato grasso e danno cellulare. Inoltre, i batteri che proliferavano in risposta alla dieta mediterranea risultavano fondamentali per un “ecosistema intestinale” stabile, espungendo microbi associati a indicatori di fragilità. I cambiamenti sono stati in gran parte guidati da un aumento della fibra alimentare e delle vitamine e dei minerali associati, in particolare C, B6, B9, rame, potassio, ferro, manganese e magnesio.

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