I film del grande schermo

a cura di Franco La Magna (*)

TROGLODITI, MATTOIDI, GIGANTI, EDUCAZIONE CRIMINALE FRODI e FIGLI

I Croods (3D) di Chris Sanders. Famiglia di trogloditi, iperprotetta da Crug, un padre che inocula continuamente pillole di paura, incontra  – dopo un’audace escursione notturna della figlia Eep, ribelle e insofferente alla weltanshauung di sopravvivenza imposta dal genitore – il giovane “evoluto” Guy. Da allora tra resistenze e buffi tentativi di ammodernamento la famiglia s’avvierà verso un mondo nuovo, mentre il vecchio grigio e pauroso – popolato da esseri spaventosi – letteralmente sprofonderà per far posto ad uno ubertoso e colorato e ad un’esistenza meno animalesca e tenebrosa. Chris Sander  (lo stesso di “Dragon Trainer” e “Lilo & Stitch”) scrive e dirige “I Croods” (2013) fiaba preistorica a cui applica con naturalezza le categorie del presente, conflitti generazionali compresi. Ne viene fuori una specie di apologo sull’evoluzione delle specie (dalla scoperta del fuoco, alle calzature) e sull’inizio della civiltà e dell’amore tra i due giovani, ma altresì un invito alla liberazione rivolto ai moderni primitivi ancor oggi chiusi nelle loro paure. Divertente ed istruttivo per grandi e piccini.

 

Il lato positivo (2102) di David O. Russell. Onusto di nomination (ben 8) “Il lato positivo” dell’eclettico newyorkese Russell (lo stesso esploso con “Amori e disastri”) torna ad indagare su disastri sentimentali, aggiungendo tradimenti e morti improvvise che scombinano esistenza e ragione. La coppia indagata è quella d’un professore di storia (vittima dell’infedeltà della moglie) e d’una giovane sposa, improvvisamente deprivata del consorte deceduto. Entrambi fuori fase (lui da poco dimesso da un istituto per malattie mentali) reagiscono in modo diametralmente opposto alle rispettive disgrazie: Pat “positivamente” è convinto di poter riconquistare la moglie; Tiffany va a letto con tutti, ma poi altrettanto “positivamente” giura di non farlo più. Entrambi, dopo una serie di scaramucce, trovano riscatto nella danza e inevitabilmente nell’amore. Una commedia in salsa acida, frenetica e verbosa, chiusa da uno stucchevole e prevedibilissimo happy end hollywoodiano, sempre ben accetto nel paese delle “opportunità” e tra le 6000 “divinità” che assegnano gli Oscar. Padre superstizioso, madre “alma mater”, amici dalle celate ubbie e varia umanità ci ricordano che il mondo è una gabbia piena di matti e mattoidi che scricchiola paurosamente, ma continua stare in piedi sorretta dal “lato positivo”. Coraggio, l’american dream non è finito, anche in piena recessione mondiale. La giovane e bella Jennifer Lawrence,  appena 23 anni e una decina di film interpretati (4 solo nel 2012) si aggiudica l’aurea statuetta più ambita, quella dell’Oscar come miglior attrice protagonista.

 

Il cacciatore di giganti (2012) di Bryan Singer. Chi non ricorda la fiaba di Giovannino e il fagiolo magico? Ebbene, riveduta e corretta, eccola ammanita in un’edizione sontuosa (come soltanto gli USA sanno fare), carica d’effetti speciali e di truci giganti inferociti e pronti a conquistare la terra, frutto delle infinite possibilità dei computers. I personaggi fetish ci sono tutti: re, principesse, traditori ed eroi, chiamati a costruire una storia fantastica dove alla fine coraggio e lealtà avranno la meglio, insieme all’immancabile coronamento d’un amore interclassista (nelle fiabe quasi una costante) tra la dolce principessa e l’intrepido coltivatore diretto, promosso novello Lancillotto. Bryan Singer giovane talento di origini ebraiche, dopo “I soliti sospetti” e il controverso “L’allievo” che lo hanno rivelato al grande pubblico,  sembra abbia finalmente imboccato la sua strada planando sui fumetti (“X man”, “X man 2”, “Superman returns”) ed ora sulle favole.

 

Educazione siberiana (2012) di Gabriele Salvadores. Ci si può solo augurare che mai i piccini sparsi in questo rio mondo debbano subire l’educazione criminale di questa sconosciuta comunità Urka, perseguitata da Stalin (e per questo fuggita in Siberia), poi dallo stesso sanguinario dittatore sovietico deportata in Transinistria (Moldovia), quindi dopo la caduta del muro di Berlino (a seguito dell’ inascoltata richiesta d’indipendenza) rimasta orgogliosamente chiusa e refrattaria, in perenne scontro con qualsiasi autorità. “Educazione siberiana” di Salvadores –  film duro, difficile, nerissimo, coraggioso e del tutto estraneo alla spesso melliflua produzione indigena – cerca indagando in una sparuta minoranza criminale, rigorosamente ossequiosa ad un codice comportamentale ultra secolare, una chiave di lettura delle marginalità del mondo, contravvenendone la semplicistica visione piattamente omologata. Quasi un pendant ancora più estremo del recente “Re delle terre selvagge”. Dal singolare romanzo di Nicolai Lilin (Einaudi), un film altrettanto inusuale, sgradevole, del tutto avulso da tendenze o concessioni (a quanto pare, tuttavia, edulcorato rispetto alla scrittura letteraria), ma dotato anch’esso d’una forestica ed eccentrica vitalità. John Malkovick, sinistramente affascinante, eccelle nei panni di “Nonno Kuzja”, intoccabile leader carismatico della rabbrividente comunità di Fiume Freddo.

La frode (2012) di Nicholas Jarecki. La crisi mondiale continua a mordere duro e su di essa la spregiudicata corazzata Hollywood continua a macinare film. Questa volta lo fa chiamando in campo due divi (attempatelli) ma ancora in pieno assetto bellico. Lui è l’ultrasessantenne Richard Gere, che gode d’eserciti di fans (soprattutto femminili), qui nei panni falsamente bonari d’uno squalo della finanza colto al termine del suo lungo viaggio finanziario fatto di colpi bassi e tutto teso, da buon “pater familias”, ad assicurare un roseo avvenire ad una prole perfettamente opposta: figlia, intraprendente e scaltra (che scopre la truffa colossale da lui architettata) e figlio incapace. Fino ad un certo punto tutto va per il meglio, poi un banale incidente d’auto (nel quale muore la giovane amante del caimano), fa scricchiolare l’impero. Ed è qui che entra in gioco la falsamente docile consorte (Susan Saradon, presenza finora apparentemente innocua, dama di carità,  alacremente impegnata in opere di beneficenza) che svela tutta la sua granitica durezza. Ma, don’t worry, il fascinoso magnate canuto e stanco riuscirà a concludere in crescendo l’ultimo, colossale, affare della sua vita. Con apoteosi finale. Ambiguità “pirandelliane”, maschera e volto. Titolo: “La frode”, opera prima già matura dell’esordiente Nicholas Jarecki, che chiama tra gli attori anche William Friedkin (Il regista de “L’esorcista”, tornato in auge dopo aver diretto due anni fa  “Killer Joe”), a quanto pare anch’egli neofita davanti alla macchina da presa.

Il figlio dell’altra (2012) di Lorraine Levy. Natura o cultura? Nel titanico scontro, Empedocle docet, chi è destinato a soccombere? Nodo centrale del film della Levy, ebrea trapiantata in Francia, “Il figlio dell’altra” (2013) – lo scorso anno presentato al Torino Film Fest – non solo riprende l’atavica paura dello scambio di prole, ma aggiunge a questa l’ormai storico e incancrenito conflitto tra ebrei e palestinesi, mostrando un ventaglio di reazioni drammaticamente innescato all’interno delle due famiglie coin-volte. La macroconflittualità tra i due popoli in lotta si sposta in tal modo nel microcosmo familiare, rendendo palese la metafora ma al contempo tentando faticosamente d’imboccare una via di fuga, d’(im)possibile risoluzione che, inevitabilmente, non potrà che essere problematica. Quel che un tempo (ma ancor oggi) si definiva soluzione aperta.

(*) “La collaborazione del critico e storico del cinema Franco La Magna ad ‘Ad Gentes’ è da considerarsi a titolo esclusivamente intellettuale. Pertanto, pur rispettandola, essa non comporta alcuna adesione alla linea politica espressa dalla newsletter.”

 

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